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Lo yoga nella Bhagavadgītā

1.26. Allora Partha vide, che restavano immobili, i padri e poi gli avi, i Maestri, gli zi, i fratelli, i figli, i nipoti e, ugual mente, anche i compagni
1.27 e, ancora, i suoceri e gli amici, a faccia a faccia, nei due eserciti. Il figlio di Kunti (Arjuna), vedendo tutti quei parenti adunati in tal modo,
1.28. _mosso da pietà e con l'animo turbato parlò cosi Arjuna disse:
"O Krsna, nel vedere questa mia gente mossa da ardore guerresco e in attesa del combattimento,
1.29. le membra mi vengono meno e arsa è la bocca; un tremito assale il mio corpo e irti diventano i miei capelli, 1.3 dalla mano mi sfugge [l'arco] Gandiva e la mia stessa pelle diventa ardentemente infuocata; non riesco più a reggermi in piedi e la mia mente è come se vacillasse.
1.31. E, ancora, segni nefasti io scorgo, o Kesava (o Tu dalla folta chioma, Krsna), né prevedo [alcun] bene se uccido la mia gente [pur] nel sacrificio della battaglia

Questo estratto di testo è contenuto nella Bhagavadgītā, “Il Canto Del Beato” un testo sacro scritto in sanscrito di 700 sloka (versi) inserito nel grande poema epico Mahābhārata, che contiene tutte le tradizioni normative, meta-storiche, religiose e mistiche dell’India antica. Siamo nel mezzo di un campo di battaglia, nell’ antica India. Arjuna, capo militare dei Pandava i deve dare avvio ai combattimenti nella guerra di Kurukshetra contro i cugini Kaurava per il controllo del trono di Hastinapur. Arjuna deve portare il suo clan verso lo scontro finale però comincia a sentirsi solo e inquieto, scoraggiato deve affrontare la battaglia ove, nel campo avverso, militano parenti e amici e si domanda se sia meglio desistere, evitare il conflitto, abbandonare la lotta fratricida. Chiede aiuto così a Krishnaii, amico e maestro che si offre di guidare in battaglia il suo carro, e che si rivela a lui come Vishnuiii, per donargli consigli ed istruirlo sui punti essenziali delle Upanishadiv. Krishna lo condurrà al pensiero che l'essenza dell'essere esiste da sempre e durerà in eterno, ciò che muore è solo un corpo. Il guerriero deve quindi adempiere al suo dovere: se ucciderà, sarà qualcosa che è destinato a dissolversi comunque.

L’azione di Arjuna in battaglia deve essere pura, devota, indirizzata verso un fine supremo e universale. Il Dio Krishna, coglie questo evento per aprire la mente di Arjuna e per condurlo verso le 3 vie, le 3 discipline (YOGA)v che gli apriranno la strada verso il significato della vita. Jñāna Yoga: Yoga della conoscenza, Karma Yoga: Yoga dell’azione e Bhakti Yoga: Yoga della devozione. Ogni essere vivente si sente più affine ad una delle tre vie rispetto ad un’altra, ma in realtà non c’è separazione. Se questa separazione viene percepita è un gioco, uno scudo mentale. Appartenere a questo mondo in relazione con il sistema mente/corpo significa sicuramente azione, quindi il Karma yoga è fondamentale.

La comprensione dell’intenzione della strada non implica lo sforzo ma l’intervento divino, la Bhakti Yoga; attraverso il divino, con l’amore, si arriva alla conoscenza profonda di Jnana Yoga la non identificazione con l’ego, permettendo così ad ogni nostra azione di fluire e di essere semplicemente Karma yoga.

L’azione è il fondamento del Karma Yoga. Per alcuni vivere la spiritualità significa distaccarsi dal mondo comune, allontanarsi e rimanere in solitudine nel deserto del silenzio. Vivere la spiritualità nel Karma Yoga invece, significa praticarla totalmente nel mondo, portando ogni azione nella motivazione che ci spinge a compierla senza cercare alcun risultato. Una qualsiasi spinta motivazionale egoistica è fuori dal Karma Yoga, l’egoismo visto da questa prospettiva non è solo ricerca di risultati tangibili in denaro, potere o piacere ma anche indulgere nell’autocompiacimento credendosi migliori proprio in virtù delle azioni che compiamo. Il Karma yoga è la via dell'azione, un percorso pratico ed immediato di una spiritualità semplice, basata sulla ricerca della trascendenza attraverso l’azione e non tramite la sua negazione, cosa che spesso viene erroneamente associata con lo yoga. Unendo l'azione alla meditazione, il Karma Yoga si purifica progressivamente seguendo le leggi del Dharmavi che guidano le sue attività. Nel terzo capitolo della Bhagavadgītā, Krishna spiega gli effetti del Karma Yoga nei dettagli, come tra azione e inattività sia preferibile la prima, a patto che venga compiuta con distacco e perseguendo il Sanatana Dharmavii l’essenza eterna dell'anima. Senza desiderio o avversione per i frutti delle proprie azioni, vivere in Karma Yoga significa accettare il proprio ruolo, Svadharmaviii, mettendosi al servizio dell'Universo. Comportandosi in questo modo non si produce Karma, l'insieme di reazioni delle attività materiali, poiché non si agisce per interesse personale ma si diventa uno strumento della volontà di Dio. Corpo, mente, parola e sensi sono utilizzati al meglio e si trasformano in preziosi alleati. La rinuncia ai frutti dell’azione e a considerarsi l’autore dell’azione stessa consentono al praticante, ad ogni essere umano, una graduale comprensione della propria natura spirituale eterna e infine a conseguire Mokshaix, la liberazione dal Samsara, il ciclo di nascita e morte.

Arjuna nella Bhagavad Gita vive nel profondo la scelta del combattimento, vorrebbe potersi rifiutare, rinunciare all’azione ma ciò non è possibile e quindi cerca di comprendere come compiere l’azione senza attaccarsi al risultato della stessa, liberandosi così dal Samsara. L’azione è il fare. Il combattimento di Arjuna, il nostro lavoro quotidiano, tutto ciò che ci attende nella vita è legato all’azione, ma ciò che più importa non è tanto quale lavoro svolgi, ma in quale maniera lo svolgi. Arjuna quindi deve affrontare la battaglia.

È meglio compiere il proprio dovere, anche in maniera imperfetta, che compiere perfettamente quello altrui. È meglio fallire nel compimento del proprio dovere che impegnarsi nel dovere degli altri. Bhagavad Gita 3-35
Lo yoga è l’arte di agire
Bhagavad Gita 2-50

L’ultimo insegnamento di Krishna è che, qualsiasi azione tu intraprenda, la devi arricchire di un senso di devozione e gratitudine. Questa azione è mossa dall’esigenza fondamentale di allinearsi al Dharma, al dovere di quella che è la tua missione, il tuo ruolo. Per Dharma si intende la legge morale, l’ordine del mondo e delle cose. Tutto è una sola cosa come i tre sentieri della Bhagavad Gita, nei tre aspetti divini nella Trimurti, tutto ritorna in una ruota circolare. Tutto si crea si conserva e si distrugge. Il Dharma di Arjuna allora è essere un guerriero, la sua missione è il combattimento. Questo è il suo dovere. SS


i Nome utilizzato per indicare i cinque virtuosi figli di Pandu re di Hastinapur (località a sud di Nuova Delhi)

ii Krishna o Krsna è una delle manifestazioni del Dio supremo (Avatar) il divino in forma umana che scende sulla terra e svela al guerriero il significato della vita.

iii Vishnu è una manifestazione divina della Trimurti: Brahma il Dio creatore, Vishnu il Dio conservatore e Shiva il Dio distruttore in un ciclo circolare di creazione, conservazione e distruzione.

iv Le Upaniṣad sono un insieme di testi religiosi e filosofici indiani in sanscrito scritti a partire dal IX-VIII secolo a.C. fino al IV secolo a.C. Sono la parte conclusiva dei Veda.

v Il termine “Yoga” deriva dalla radice sanscrita “Yui” che significa imbrigliare, controllare, integrare ma possiede una vasta possibilità di interpretazione dalla più nota unione, congiunzione, mezzo o metodo a significati più singolari come preparazione o devozione. Nel periodo vedico per yoga s'intendeva “controllo della mente e dei sensi” e quindi il termine yoga non sarà tradotto come unione ma come separazione, la netta distinzione tra corpo e mente. Nella Bhagavadgītā, Krsna invita Arjuna a credere in lui, ad affidarsi al divino, all'unione, quindi il termine yoga sarà tradotto come unione.

vi Il termine Dharma che deriva dal sanscrito è stato tradotto con diversi vocaboli, tra cui “legge” (cosmica, divina, ecc.), “dovere” e “modo giusto”; La radice “dhṛ” sta per “verità”, “base”, “giusto”, ma nella sua forma più antica, ovvero “dharmān”, appare spesso vicino alla sillaba “Ṛta”, ovvero l’Ordine Cosmico a cui tutto si rifà.

vii L’espressione Sanatana Dharma indica ciò che non ha origine se non in sé stesso, ciò che non è stato comunicato da nessun essere vivente, che non ha un fondatore, che esiste sin dall’inizio di ogni ciclo di tempo (kalpa).

viii Termine sanscrito “sva” che significa “corretto”, “dharma” che significa “legge o dovere”, quindi i doveri di un individuo manifestazione individuale della legge divina universale.

ix Il termine moksha deriva dal termine sanscrito “mukt”, che significa letteralmente “liberazione” o “emancipazione”